Non va lasciato cadere l’affondo che L’Espresso ha riservato a fine settembre ai cattolici. Perché non si tratta appena della (solita) lavagna dei buoni e dei cattivi, su cui viene di tanto in tanto rispolverata la ritrita contrapposizione di scuola giacobina <laici c/credenti>. Nella ampia verticalizzazione dedicata dal settimanale del gruppo Repubblica vi è piuttosto la pretesa di una sfida più radicale, addirittura con ambizioni storiografiche. Leggere il lungo editoriale, dedicato a “La carica dei cristiani senza Dio”, per credere. Solo un ossimoro per provocare? Lo si vedrà. Intanto, è quel che basta per accettare – e volentieri – un dialogo tanto appassionato sulle questioni di fondo sollevate, quanto disinteressato alle opzioni politiche coinvolte.
Il pensatoio della cultura laicista questa volta non invoca una contro-carica frontale del suo (ormai egemone) schieramento verso un presunto nuovo sussulto cattolico, specie se interpretato da qualche ministro. Ora pretende proprio di (dis)ordinare i cristiani al loro interno, per arrivare a una inedita “scomunica” di alcuni: se, cioè, qualche credente stesse alzando la testa sappia che si pone contro la storia dell’impegno politico cattolico e fuori dal popolo cristiano stesso, dunque praticando persino un paradossale ateismo. Ma per formulare questo drastico giudizio, L’Espresso sconfessa la sua narrazione di sempre e semina il panico nel campo della stessa logica. Ma, sorprendentemente, accetta anche di affacciare la riflessione su un altro, ben più provocante, orizzonte: quello dell’asfissia esistenziale in cui giace il modello antropologico nichilista, quello dell’etsi Deus non daretur.
Procediamo con (tentato) ordine.
L’attacco contro alcuni cristiani rimbalza su tre “F”: fantasma, fraglia, frattura.
C’è – “svela” l’editoriale – un “fantasma” in Europa (1), di cui pochi ancora si accorgono, spinto da una “faglia” nel mondo cattolico” (2), che provoca una profonda “frattura” con la moderna “Europa dei diritti” (3).
1) Il “fantasma” sarebbe rappresentato dal crescente consenso che i nuovi fenomeni politici raccolgono fra i credenti, anzi da “una ideologia, cristianista più che cristiana, che si candida a guidare culturalmente il fronte sovranista”.
2) Ciò darebbe corpo all’evocata “faglia che a Ovest e a Est dell’Europa spacca quei popoli che furono la culla della cristianità europea nel Medioevo, nell’età moderna e nei cinquant’anni seguiti alla fine della seconda guerra mondiale”.
Per dimostrare questa rottura dei “cristiani-filo-sovranisti” con la presunta storia della presenza pubblica dei credenti, L’Espresso riabilita persino i nemici di sempre, ribaltando quel giudizio negativo che tanto a lungo aveva occupato le rotative del gruppo editoriale. La “lunga egemonia della Democrazia Cristiana”, cioè, non è più descritta quale nefasto esempio di voto di scambio od oggetto di aperto sarcasmo, divenendo piuttosto modello esemplare di “una logica non confessionale, di autonomia tra l‘ordine temporale e l’ordine spirituale “che “aveva combattuto ogni deriva clericale o sanfedista”. Non basta. Schuman, Adenauer e De Gasperi sono apertis verbis riconosciuti “padri” dell’Europa proprio in quanto “cristiani interpreti di una potente idea politica: l’incontro tra i cattolici e la democrazia”, mettendo fine alla “lunga stagione” dei “cattolici relegati all’opposizione della modernità, sul fronte della restaurazione”.
Questo “processo di costruzione dell’attuale Unione Europa” avviato dalla DC della prima Repubblica sarebbe poi – sempre a detta de L’Espresso – naturalmente fiorito nella seconda Repubblica, in cui è stato lasciato “spazio … alla presenza dei cattolici in entrambi gli schieramenti, a far da lievito con la loro cultura”. E finalmente apparivano i “cattolici aperti alla modernità”, altrimenti chiamati anche “cattolici adulti”, visto che il settimanale individua come ultimo esponente di questa celebrata traiettoria storica “l’italiano Romano Prodi”, che – come noto – ha il copyright dell’etichetta.
E così la diaspora e l’irrilevanza politica dei cattolici vengono blindate e legittimate in forza di una inedita continuità con l’“Europa dei padri” e con la Democrazia Cristiana, potendo perciò bollare il nuovo “fantasma” comparso alle più recenti elezioni come un brutto tentativo di una “visione anti-storica”, che può essere spinto al di fuori dello stesso perimetro politically correct dei cristiani. Di qui a etichettarli anche come “anti Bergoglio” o persino “atei” il passo è breve.
La tesi, però, poggia su una versione storiografica troppo forzata, come si intuisce – persino a pelle – dal clamoroso revirement sulla DC. La quale, comunque, almeno agli albori è stata non l’antitesi ma il manifestarsi di una grande vitalità pubblica e sociale dei cattolici preesistente nella vita dell’Italia post-unitaria, per nulla “relegata all’opposizione della modernità” nonostante il non expedit (come attestano anche recenti ricerche per il centenario dalla morte di Giuseppe Toniolo, che corre proprio in questi giorni). Né si può dimenticare che negli anni novanta la classe dirigente democristiana non si “auto-sublimò” certo volontariamente nei rarefatti rivoli della seconda Repubblica, che sorse, invece, sulle ceneri del più violento attacco giudiziario unidirezionale della storia democratica, attacco che oggettivamente é stato una cesura, non una continuità nella politica italiana.
Ma è soprattutto un altro il fattore che marca la differenza fra la seconda Repubblica e i precedenti decenni del XIX e XX secolo: il venir meno, cioè, di ogni tentativo di unità nell’espressione politica dei cattolici. Eppure, la ricostruzione de L’Espresso finge di non accorgersi di questa macroscopica e sostanziale diversità, e ciò tradisce ulteriormente lo scopo strumentale di esaltare quel modello ritenuto “moderno” del “cattolicesimo democratico ed europeista”, in cui il ruolo dei credenti deve essere evanescente (al più “lievito culturale”), dunque nel segno dell’individualismo e della dispersione.
3) Dopo avere pazientemente costruito la più estesa delegittimazione possibile di questi cristiani “non moderni” emersi nelle ultime tornate elettorali, L’Espresso affonda un altrettanto radicale j’accuse, denunciando, finalmente, la “frattura” in corso “tra cristianesimo e modernità, tra cattolici e democrazia”, in cui – si presti attenzione – “nasce il più feroce attacco ai diritti di tutti”, che condurrebbe ad “abbattere non solo l’Europa di Maastricht e di Schengen, ma anche l’Europa dei Diritti”.
Quale “Europa” starebbe per essere addirittura “abbattuta”? Quali “diritti di tutti” verrebbero “ferocemente” minacciati? Vale la pena citare alla lettera.
“Il vuoto si è aperto nel cuore dell’Europa e nel vuoto tornano di moda parole antiche: Patria, Nazione, Identità, Radici”, al punto che il “fantasma” – come sarebbe successo in Ungheria – opera “riferimenti continui alla identità cristiana, alla famiglia basata sull’unione volontaria tra uomo e donna con il divieto di aborto e la difesa del feto fin dal concepimento”, persino ripetendo “formule astratte” come i “principi non negoziabili, la vita, la famiglia” (!).
Fateci capire. Si sferra un attacco pesantissimo contro dei cristiani perché vorrebbero in qualche modo esprimere una propria “identità”, tentando di difendere i “principi non negoziabili”, il diritto alla vita o la famiglia fondata sul matrimonio? Si pretende, persino, di definire una nuova sostanza dell’essere cristiani, nella quale dovrebbero essere esplicitamente espulsi frutti propri della bellezza umana cui ha condotto e conduce l’esperienza della fede, come l’amore alla vita di ogni singola persona, per quanto debole e socialmente inutile sia, o l’appartenenza alla comunità familiare come strada educativa stabile per sé e per i figli?
La logica, non la fede, impone di rigettare un simile giudizio.
Ancora: quale inganno si cela dietro il roboante titolo di “Europa dei diritti”, se con tale ambigua locuzione si vuole tutelare qualsiasi proiezione soggettiva purché non abbia identità, radici, appartenenza a un territorio e a una storia comunitaria? Sul mero piano della logica, è forse possibile ipotizzare una terra “dei diritti di tutti” sprezzante e intollerante con chi crede nel diritto alla vita, nel desiderio di vita, nel diritto a essere accolti da un padre e una madre?
Impaziente di denunciare questa del tutto irreale e insostenibile “frattura”, l’invettiva de L’Espresso imbocca un percorso che sbatte direttamente sulla cultura del nulla, avversaria dichiarata di ogni tensione ideale, il che tutto è tranne che la storia europea, nella quale, semmai, ipotesi culturali ed esistenziali diverse sono fiorite rispettandosi e confrontandosi nel merito in una comune tensione nella ricerca del vero.
Ma proprio qui l’editoriale ha l’onestà intellettuale di un coraggioso cambio di passo. Nel vicolo cieco di una polemica che non regge, intuisce che all’origine di una potente reazione popolare come quella emersa alle ultime elezioni c’è ben altro che la volontà di distruggere una non meglio identificata (e comunque mistificata) “Europa dei diritti”. Così emerge un’altra lettura dell’attuale momento storico europeo, probabilmente meno condizionata da pregiudizi politici. E sembra fare breccia il monito del novembre 2015 di Papa Francesco, quando chiedeva ai vescovi italiani di accorgersi che non siamo affatto in “un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca”, caratterizzato da un verticale crollo delle evidenze.
“In questo vuoto – scrive ora L’Espresso – si è compiuta la secolarizzazione, il <salto nel vuoto etico>”, esattamente individuato in “Quell’attitudine contemporanea a non credere in un dio o in una religione che è finita per capovolgersi nel nichilismo, ovvero nell’impossibilità o nell’incapacità di credere a qualcosa”. Il baricentro del problema diventa tutt’altro: si ammette che proprio il nichilismo, quella spietata cultura del nulla che nega la possibilità stessa di un Ideale, ha determinato “sul fronte opposto, la crescita della reazione”.
Il dialogo diventa straordinariamente interessante.
Non sono – va riconosciuto – del tutto infondati i timori dell’editoriale: la “reazione” può assumere forme pubbliche discutibili, magari sbrigativamente canalizzate in proposte politiche con reali pericoli di derive schematiche e ideologiche. Né basterà una rievocazione formale della “tradizione” da parte di ambienti cattolici o di esponenti politici, se essa non ridiviene “vivente” nella singola persona e nelle comunità. Ma la riflessione, prima di indugiare sulla “reazione”, deve capire e giudicare ciò che la genera: un modello antropologico intriso di relativismo, che afferma un uomo non concepito come determinato da un incomprimibile desiderio di senso e di verità. Se questa natura “religiosa” viene negata, se si é indotti a vivere etsi Deus non daretur, la persona si ribella e riemergono vivacemente il desiderio di identità, cioè di senso, il fascino per il mistero della vita, la nostalgia per legami di comunione veri.
Di più. Un uomo che, dentro l’inquietudine e l’incertezza dei nostri giorni, torna a desiderare il vero non rimane da solo, perché cerca, magari confusamente, la condivisione con altri di questo desiderio o almeno dell’irrequietudine che esso suscita. Perciò l’attesa e gli accenti di un impegno unitario, anche di cattolici, sono una vibrazione da raccogliere con stima e speranza. Il che non significa affatto avallare forme e contenuti politici parziali e spesso strumentali, ma semmai ridesiderare una unità di lavoro originale e unitaria fra cattolici e con chi, da altre culture, si ribella al “nulla” come orizzonte per sé e per la sua patria, sia essa la sua famiglia, la sua comunità o la sua Europa.
Domenico Menorello –
Osservatorio parlamentare “VERA LEX?” – Deputato XVII L