In queste ore molti parlamentari -e di tutti i partiti- stanno scendendo in campo per scongiurare l’assurdo: che, cioè. nella “fase 2” rimangano vietate le Sante Messe e la celebrazione dell’Eucarestia. Ovviamente con il più rigoroso rispetto delle condizioni di sicurezza igienica.
Un assurdo che, specie dopo i fatti del 25 aprile, diverrebbe inaccettabile discriminazione.
Facciamo, brevemente, il punto, in attesa delle imminenti decisioni del Governo per il post 4 maggio.
1) Il 14 marzo 2020 oltre 50 associazione si stringevano attorno ai «Vescovi italiani, che hanno testimoniato un non scontato gesto di responsabilità per sostenere la lotta contro la pandemia, accettando il sacrificio più grande, la rinuncia cioè alla condivisione dell’Eucarestia, quel Gesto che rende possibile il cammino stesso della “nuova creatura” rifatta dalla potenza di Dio. Per sostenere la lotta affinché il Sistema Sanitario Nazionale regga e per sostenere la lotta contro ogni -seppur inconsapevole- selezione dei malati da curare», che sarebbe divenuta una prospettiva concreta se la pandemia fosse continuata a crescere esponenzialmente.
2) Su questo sacrificio, il 17 aprile Papa Francesco ha posto un giudizio chiarissimo. Con la consueta schiettezza: “Questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.”
3) Peraltro, non è sfuggito il punto esatto in cui si nasconde una sopravvenuta contraddizione nella normazione d’emergenza. Sempre il 17 aprile il giurista Alfredo Mantovano poneva domande sul mero piano della logica: “Il DPCM 10/04/2020 stabilisce che l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro” e “chiarisce che è consentito l’accesso alle chiese, pur nel rispetto delle regole di cautela”- Ma “qui sta l’incoerenza: se è consentito entrare in un luogo di culto, perché mai, alle medesime condizioni di prevenzione, quei fedeli presenti in chiesa, fra loro distanziati, non potrebbero assistere a una Messa, col parroco, o con un suo delegato, che accerti che non si formino assembramenti?”.
4) Il Governo non solo non rispondeva, ma il 22 aprile emanava una nota che non poteva non avere il sapore di una beffa rispetto all’intransigenza utilizzata con il culto. Avvicinandosi, cioè, il 25 aprile, questa volta il Viminale e Palazzo Chigi dimostravano una inedita duttilità, ritenendo che “in qualche modo” (!!) sarebbero state “consentite forme di celebrazione della tradizionale cerimonia e che a esse avrebbero potuto prender parte anche le Associazioni partigiane e combattentistiche. I video sul web hanno poi impietosamente restituito le immagini di quanti assembramenti si siano ovviamente formati nelle piazze, con buona pace dei mille DPCM e senza che siano noti interventi delle forze dell’ordine.
5) Il 23 aprile il Presidente della CEI ha voluto, allora, declinare con autorevolezza e precisione quale sia il giudizio in vista della “fase 2” della pandemia: «Lo dico in coscienza a tutte le istituzioni, è arrivato il tempo di riprendere la celebrazione dell’Eucarestia domenicale e dei funerali in chiesa, oltre ai battesimi e a tutti gli altri sacramenti, naturalmente seguendo quelle misure necessarie a garantire la sicurezza in presenza di più persone nei luoghi pubblici».
Perché, come chiosava Alberto Gambino (Scienza e Vita), “Salute e vita non sono soltanto fattori biologici ma si alimentano anche di dimensione spirituale. Tornare a frequentare i luoghi dell’anima non è allora soltanto un fatto formale ma è soprattutto il viatico naturale per chi oltre al corpo vuole nutrire anche la propria fede”.
6) Il 26 aprile 2020, Paola Binetti, vicepresidente dell’Osservatorio parlamentare “Vera lex?” raccoglieva attorno a un preciso appello al Governo oltre 25 senatori del suo e di altri gruppi sia del centro destra sia del PD che del Movimento 5 Stelle: “In questa fase di progettazione della Fase 2 ci sembra che non si presti la dovuta attenzione alla tutela di questo diritto fondamentale: vivere liberamente la propria Fede, con la necessaria coerenza. Il governo prepara schemi di riaperture scaglionate e garantite sotto il profilo della tutela della salute, prendendo in considerazione i più diversi ambiti della vita professionale e sociale, ma ben poco emerge dai suoi programmi come intende tutelare il diritto dei credenti a vivere la propria vita, anche alla luce di esigenze specifiche previste dalla propria religione. Vogliamo stimolare e incoraggiare il governo a fare di più, soprattutto desideriamo far capire che la partecipazione alla santa Messa non può essere assimilata a qualsiasi altro incontro tra persone mosse da obiettivi e da interessi diversi, per quanto nobili e condivisibili”. Firmato: Binetti, Rizzotti, Modena, Gasparri, De Poli, Saccone, Battistoni, Berardi, Lonato, Caliendo, Emilio Floris, Papatheu, Barboni, Paroli, Ferro, Caligiuri, Giro, Aimi, Minuto, De Siano, Messina, Iori, Parente, Marinello, Fregolent, Rauti, Mantovani, De Bonis, così come vogliamo ricordare che molti altri parlamentari si sono già a vario titolo espressi per una riconsiderata tutela della libertà religiosa, fra cui (omettendo leader nazionali le cui posizioni sono note), Drogon, Fontana, Pagano, Palmieri, Polidori, Pillon, Quagliariello, Rospi, Siracusano, Varchi, …
7) Mancano poche ore, forse, al prossimo DPCM e L’APPELLO DI TANTI PARLAMENTARI CHE INTERPRETANO UNA SERIA ATTESA POPOLARE NON DEVE CADERE NEL VUOTO.
Non è un dettaglio, né una questione per addetti ai lavori.
Il Governo nel decidere se togliere la sospensione del culto (con le scontate misure igienico-sanitarie che si dovranno osservare) deciderà anche se rispettare o infrangere lo stesso prioritario principio di laicità dello Stato. Consentire il culto – ricordava ancora Alfredo Mantovano del Centro Studi Livatino – non può essere «una “gentile concessione” del sovrano ad una confessione religiosa», perché «la Chiesa cattolica non è un soggetto estraneo rispetto allo Stato, ma un soggetto con il quale esistono accordi. Ciò che è di comune interesse viene stabilito con l’intesa. E l’intesa suppone un piano di parità, non è subire l’altro. Non compete allo Stato decidere che cosa si fa dentro la chiesa. Un Rosario, una Messa, una preghiera personale? Una volta che il parroco o il vescovo, al pari di un gestore di supermercato, attivano le misure di distanziamento sociale, quello che accade dentro deve lasciare del tutto indifferente lo Stato». Questa «è la vera laicità”.
Mantenere, invece, anche nella imminente “fase 2”, in cui riprenderanno molte attività, l’inibizione di una partecipazione misurata, “distanziata”, in piena sicurezza, al culto e all’Eucarestia diventerebbe invece una incomprensibile discriminazione. Specie dopo il 25 aprile …
Domenico Menorello